
Emanuela Dalla Libera legge “Anatomia del vuoto”
Una poesia per chi viaggia nella vita, quella di Marco Onofrio, nella vita e nell’universo, nella totalità dello spazio e del tempo che il poeta riconduce alla muta essenza del vuoto dove si forma ogni cosa. Un vuoto originario e costante in cui confluisce una molteplicità di significati e di forme. Forse il vuoto è lo spazio in cui temiamo di smarrirci dal momento che troppi enigmi rimangono insoluti, o la rappresentazione di una angosciosa ricerca di senso, mai perfettamente compiuta, sempre “in fieri”, perché il vuoto si configura come ricerca, vita, intensità di sentire. Il vuoto è lo spazio primigenio in cui ha origine il nostro esistere, il venir fuori, il prorompere improvviso per inserirci in una realtà data, modificarla e nel contempo esserne modificati. È, questo vuoto, spazio infinito di osservazione, riflessione, indagine che coinvolge ogni realtà vivente, ogni cosa costituisca l’universo, da quelle note e minuscole (la cicala, il ramarro) a quelle misteriose e gigantesche (le cefeidi, le comete), tutte abbracciate insieme a costituire un unicum negli arcipelaghi del tempo in cui tutto cambia, / tutto finirà, di cui anche noi siamo parte e al quale non possiamo sfuggire. Ma allora cercare un senso è doveroso a giustificare la divinità della nostra natura umana perché l’imperfezione è sacra, e a comprendere la nostra continua ricerca di un centro in cui rappresentarci, in cui credere di essere mentre continuamente ci sfugge (tu che ti credi il centro del mondo / e invece sei un relitto in mezzo al mare).
Il vuoto è quindi lo spazio in cui cercare, è l’infinito che non si esaurisce perché il divenire è perenne e ogni forma esiste solo perché è in perenne mutazione nella forza assoluta e tremenda / che spinge la ruota del cielo / l’eterna metamorfosi dei giorni. Il vuoto ci è necessario quindi, è l’humus in cui prendiamo forma la prima volta, in cui esistiamo e continuiamo a vivere. È vita, movimento, dialettica necessaria a comporre ogni nuova tessera di un mosaico in continua espansione al cui compimento cerchiamo costantemente di sfuggire, attratti da un irresistibile desiderio di vita, di amore, alimentati da una speranza che è intrinseca al nostro essere perché è possibilità, occasione, imposta chiusa su cui batte il giorno per svelare il segreto dell’amore. La compiutezza, il pieno finiscono per configurarsi come fine, soluzione ultima di ogni nostro gesto (In quale pieno / è già scavata, la fossa / che ci accoglierà / per scomparire?) e il nostro interminabile travaglio / avrà pace, un giorno, / tra le braccia apocalittiche / del Padre.
La scrittura di Marco Onofrio è ricca, coinvolgente, fortemente capace di muovere emozioni e far nascere pensieri, le parole sono intense, intrise di profondo spessore, calamitano la nostra sensibilità con immediatezza, proiettandoci in dimensioni sfuggenti, spesso trascurate, ad aprirci varchi in cui il vuoto si riempie di visioni cosmiche ma anche di visioni dell’anima in cui perderci e bearci (Così si dovrebbe morire / – pensavo: non di consunzione / o triste inedia, / ma nella pienezza irripetibile / della felicità). E naufragare in questo vuoto, mare inarrivabile / del mondo, è dolce, esattamente come nel mare leopardiano, perché solo questo vuoto ci può, almeno nel pensiero, restituire, dopo tanto, amate / persone e oggetti che non ritroviamo / come i relitti del mare dopo anni: / riportare immagini del tempo / la vita che abbiamo attraversato in un tempo che non c’è più, perché quel tempo ha cessato di esistere e il silenzio a cui chiederemo risposte ci risponderà che le cose che non sono più stanno nel vuoto. Un vuoto che dobbiamo riempire con le nostre tracce, per dire: siamo stati vivi, siamo esistiti.
Emanuela Dalla Libera
Marco Onofrio si conferma eccellenza della Cultura e orgoglio dei Castelli Romani, di cui tiene alto il nome a livello nazionale e internazionale. Il noto scrittore romano, naturalizzato marinese, ha recentemente incrementato il suo già nutrito palmarès di trionfi letterari con tre ulteriori, prestigiosi riconoscimenti al talento e alla qualità della sua produzione, che si avvia a raggiungere i quaranta libri pubblicati. Lo scorso 17 ottobre ha ricevuto, presso il Teatro Comunale di Lanuvio, il Premio Internazionale “Antica Pyrgos” per il volume di poesie “Azzurro esiguo” (Passigli Editore), classificatosi al 1° posto per la sezione “Poesia edita”. Lo stesso volume è stato poi premiato anche a Torino, il 31 ottobre presso il Teatro Vittoria, come 2° classificato al Premio Nazionale di Arti Letterarie “Metropoli di Torino”, sezione “Volume poesie”. Inoltre – dulcis in fundo – qualche giorno fa, il 19 novembre, ha ricevuto a Roma, presso la magnifica Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, Presidenza del Senato della Repubblica, il Premio Mondiale “Tulliola-Renato Filippelli”, per il volume “Anatomia del vuoto” (La Vita Felice Editore), risultato vincitore assoluto per la sezione “Poesia”. Giusto onore al merito, dunque; e tuttavia Onofrio non è solito cullarsi sugli allori. «Ringrazio le giurie per queste bellissime soddisfazioni» ha infatti dichiarato lo scrittore «che non mi distolgono, se non il tempo di brindare, dai tanti progetti in corso: come ad esempio il nuovo libro di critica letteraria, di imminente pubblicazione, e la traduzione francese di una mia antologia poetica, che uscirà nel secondo semestre del 2022. Le gratificazioni dei premi sono senza dubbio importanti, ma ciò che conta davvero è l’impegno, cioè il lavoro che si riesce giorno per giorno ad esprimere. A me interessa più scrivere che promuovere ciò che scrivo». Il che, peraltro, rende ancora più ragguardevoli e meritori i traguardi ottenuti da Onofrio. Chapeau! («Il Caffè dei Castelli Romani», 2 dicembre 2021, p. 15)
F. T.
«Il poeta si interroga sul vuoto esistenziale e sui suoi silenzi/misteri. Sperimenta linguaggio e cammino con occhio di eterno viaggiatore. Seziona i tessuti del dubbio e delle assenze, talvolta prossimi al nulla. Sutura le ferite lacere e sanguinanti dello smarrimento e degli interrogativi con bisturi di parole, che causticano e anestetizzano. La sua scrittura/poesia – rimanendo nel campo della medicina – si apprezza come salutare fisiopatologia, che sa trarre dalle resistenze di cuore e mente la forza rigenerativa e le risorse attrattive dell’amore, sempre possibili di nuova umanità e futuro. Un travaso dall’intimo per altri echi».
La cerimonia di premiazione si terrà a Roma, Sala Zuccari del Senato (Via Dogana Vecchia, 29), venerdì 19 novembre 2021, ore 15.30-19.30. Accesso riservato agli invitati e consentito solo con Green Pass e mascherina.
Giorgio Taffon: “Azzurro esiguo”, di Marco Onofrio: lettura critica in forma di lettera semi confidenziale
Carissimo Marco, penso di potermi ascrivere ai sostenitori e “tifosi” della tua scrittura poetica, dopo aver presentato e recensito alcune precedenti tue preziose e per me attraenti raccolte “Le catene del sole” (Fusibilialibri, 2019) e “Anatomia del vuoto” (La Vita Felice, 2019). Ora è la volta del recentissimo “Azzurro esiguo” pubblicato nel corrente anno dalla benemerita e storica casa editrice Passigli di Bagno a Ripoli, Firenze (nella collana fondata dal grandissimo Mario Luzi). Ti scrivo questa lettera “semi confidenziale” perché la mia lettura l’ho svolta man mano non solo basandomi su ragioni prettamente letterarie, formali, stilistiche, ma anche trovando nei tuoi straordinari versi temi e motivi esistenziali e di vita e di pensiero davvero coinvolgenti anche la mia stessa persona, il mio sentire, pensare e vedere, magari anche l’Invisibile. Non nascondo, poi, che nell’attuale momento storico e culturale, ben pochi, pochi felici, si occupano, leggendo più che scrivendo, di poesia, e di poesia che ben poco ha di consolante, di emozionante, e nemmeno di leggero, di sì piacevole da far passare qualche momento ristoratore e distraente dalle occupazioni quotidiane. Eppure.
Eppure la tua poesia va al centro della creaturalità umana, della materia cosmica, delle domande sulla divinità e sull’Oltrevita. Mi pare proprio che in te poeta vi sia sottesa la consapevolezza profonda a carattere antropologico delle tre dimensioni che fanno “fondamento”, distinguibili ma non separabili: quella corporea, materiale, e quindi cosmica, e della Natura; quella psicologica, o mentale, o sentimentale; e infine, seppur con il dubbio sistematico, quella spirituale, o divina, o dell’intuito poetico, o in fondo mistica, ma di un misticismo secondo Simone Weil, e/o Michel de Certeau, e/o Raimon Panikkar, e/o Marco Vannini, e/o due bravissime poetesse come Chandra Livia Candiani e Mariangela Gualtieri (vedi anche Teatro della Valdoca). Voglio ora, al proposito, scriverti qualche mia osservazione da lettore partecipe su alcuni tuoi componimenti presenti nella raccolta, che di poesie ne comprende in tutto 59, riferibili alla triade qui sopra ricordata. Con l’attenzione, voglio sottolinearlo, che siano le ragioni del poetare a prendere campo nelle mie parole: la filosofia, la scienza, la teologia, eccetera, possono sostenere il dettato poetico, ma per via intuitiva, immaginativa, non per puro sforzo mentale e speculativo, o per sicumera dimostrativa (come in non poca poesia “gnomica” del ’900 italiano), nonostante i grandi misteri in cui siamo immersi.
Sugli elementi della Natura, sul Mare (splendida è Sale sacro!), nel leggerli rivedo me stesso di fronte al Tirreno, nel bagnasciuga che ricorda l’imperatore Nerone. Hai saputo mettere in un circuito straordinario di immagini e sentimenti la sacralità dell’elemento marino («Battezzami. Proteggimi. Consigliami. // Salvami.»); ma anche i suoi misteri («dentro il tuo mistero verde blu»), la sua personificazione, l’invocazione, l’ascolto della sua musica, la possibilità, forse, di chiarire una verità. Il mare, scrivi nel primo verso, va benedetto, dalle sue profondità sale una voce infinita, una «musica profonda». Forse ebbe ragione Giorgio Agamben quando tracciò due linee essenziali nella poesia italiana: quella dell’elegia e quella dell’inno; bene, se così è, devo dirti che questa lirica suscita in me emozioni esaltanti: è proprio come un Inno che sale nel “sale sacro” del mare. Epperò lo sguardo può salire, verso l’alto, verso l’«azzurro esiguo» del cielo: forse esiguo, in quanto riferito ad uno strato atmosferico di pochi chilometri profondo, rispetto all’immensità infinita buia priva di luce di tutto il Cosmo, e alla stessa «basilica del mondo», come scrivi appunto in “Azzurro esiguo”. Certo, c’è un elemento direbbero i nostri progenitori greco-latini che è un basileus, un Re assoluto che tutto regge. Ma già nel primo verso la basilica del mondo ti appare fatiscente: l’impermanenza di tutte le cose è una legge inevitabile, e ciò è innegabile. La sentenziosità dei versi non ha qui nulla di retorico, sfiora sempre l’elegia, portando apertura di speranza e assieme il rischio della disperazione; l’ispirazione che offre il cielo è sentimento sospeso, appunto esiguo, sempre nuovo; «le pupille del cielo» (che splendida metafora al genitivo!) «scrivono poemi / sui fili delle nuvole sospese.» Il registro e i toni elegiaci raggiungono un vertice di valore espressivo davvero unico, in un altro componimento. E qui siamo nella dimensione della psiche, nel mondo interiore, nell’anima. Mi riferisco alla poesia che dedichi al tuo amato padre, che non può non coinvolgere ciascuno di noi lettori; mi riferisco a Morte del padre (e non di “mio” padre…). Occorrerebbe sancire l’ineffabilità, come persone, ma tu sei anche un poeta vero, e in questo componimento hai raggiunto un equilibrio commovente fra versi puramente denotativi, documentali, da referto medico, e il rimescolamento interiore di stati d’animo, di sentimenti che ti agguantano, feroci: il dolore, la nostalgia, il ricordo; come non citare questi versi che seguono: «Cedo, canto, precipito / per scale misteriose elicoidali / nei convolvoli interiori / della profondità. / Mi lascio andare, mi arrendo alla tristezza universale. / Siedo immobile, sul fondo del mare. Guardo tutto da dentro una bottiglia.» Altra metafora di raro ingegno poetico è questa dei convolvoli interiori della profondità; e colpisce ancora l’immagine di un mare in cui sprofondare, forse nell’immaginazione tenendo in mano una bottiglia, forse con la nave all’interno, quasi montaliano oggetto di salvezza umana.
Non c’è dubbio, credo, che in interiore homine habitat veritas, qualsiasi essa sia; ma se vogliamo andare oltre il nostro ingannevole, superficiale, farfallone ego, dobbiamo cercare in noi un qualcosa che ci trascenda, un qualcosa di assoluto, e universale: la fede, l’ideologia, il comunismo, la tecnoscienza? Ce lo siamo già detto, così, forse al volo, e forse te lo ricordi, o no. Io credo che vi sia solo una strada possibile, che è quella del misticismo, ma non inteso come fenomeno strano, magico, estatico, questo no! Con l’incrocio tra platonismo, S. Agostino e filosofie orientali, si può arrivare a intuire e partecipare seppur nell’oscurità e nel vuoto (parola questa a te familiare…), e nel silenzio, ma anche, ci direbbe Carmelo Bene nella musica, e spro-fondare nella dimensione spirituale, al di là di ipoteche religiose-istituzionali («Dio mi liberi da Dio», ci ricorda Vannini). Mi ha colpito, dunque, Adorcismo, parola che ci riporta all’incorporazione dello Spirito, tramite un rito liturgico o magico che sia, al contrario di esorcismo che scaccia fuori il demoniaco; tutta la poesia porta alla invocazione richiedente “amore”: «Dammi un barlume / della tua sapienza, /riempimi col soffio / della luce, / donami amore / non tenermi senza!». È una chiusura bella e profonda, giacché in tutta la raccolta spira l’anelito all’Amore, e, cosa molto difficile, all’esercizio dell’Amore! Certo, ha ragione l’amico comune Dante Maffia, poeta e scrittore di valore assoluto, a citare come riferimento più che come modello Mario Luzi; non dimenticherei Clemente Rebora, Carlo Betocchi e, in chiave più fideistica e religiosa, David Maria Turoldo; ma come dimenticare certi succhi lirico-espressivi di stampo dantesco?
Caro Marco, la tua poesia e la tua scrittura sono anche molto, molto coraggiose: viviamo tempi superficiali, tragicamente vuoti (ma non il Vuoto mistico, o buddista); ciononostante non mollare, tieni accesa la sacra fiamma della Poesia, e nel dirti questo intendo anche esprimere la mia certezza che la tua è poesia davvero meritevole di stazionare sicura nella valle della grande letteratura! Un saluto umilmente poetico da
Giorgio Taffon
«L’Anatomia del vuoto di Marco Onofrio è uno studio anatomico e chirurgico del tessuto stesso della nostra vita, è una silloge colma di metafore taglienti e imbevuta dell’incarnazione e personificazione del Poeta che presta la propria anima ai suoi versi. Una raccolta di poesie che brilla di vivida arguzia, eleganza e intelligenza».
Vito Pinto (Presidente di Giuria)
La Cerimonia di Premiazione del Premio Letterario Nazionale “EquiLibri” Edizione 2020
“Anatomia del vuoto” (La Vita Felice Edizioni) si è classificato al terzo posto per la Sezione “Poesia Edita” del Premio Letterario “EquiLibri”, Edizione 2020. La cerimonia di premiazione si è svolta on line il 24 aprile 2021.