“Luce del tempo”, letto da Valerio Mattei

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Ho sempre apprezzato contesti, attività, persone che in qualche modo riuscissero a sposare Cielo e Terra, Alto e Basso, Spirito e Materia, Anima e Carne. Per poi scoprire che queste dicotomie, queste spietate dualità esistono solo nell’infantile e asfittico, piatto, monodimensionale e monodirezionale mondo della nostra piccola mente lineare. Da A a B. Da prima a dopo. Se è qui non è lì, se è su non è giù. E via dicendo. Eppure, caspita, c’ è qualcosa come un miliardo di persone su questa palla impazzita chiamata Terra che da duemila anni vanno ripetendo frasi tipo “come in Cielo così in Terra” forse senza capire un bel niente di quello che, purtroppo, dal potentissimo Mantra creatore di Realtà che è, scade (questa è la grande facoltà di cui disponiamo nel libero arbitrio) in una farneticazione, un blaterare meccanico al confine sempre labile e sottile della superstizione. Fosse diversamente, oggi magari non staremmo ancora a parlare di categorie contrapposte, di Santi con la S e peccatori con la p, di Luce contro tenebra, di carnivori contro vegetariani/vegani e via dicendo. Avremmo forse capito ormai finalmente tutti che tutto è Uno e che – John Lennon lo diceva sempre – il Cielo non si ferma a un certo punto sull’orizzonte, come lo disegnavamo alle elementari, col pastello azzurro fino a metà foglio, per poi fare la terra con quello marrone nella parte inferiore. No. Il Cielo scende, scende, scende giù fino al suolo, lo abbraccia, lo allevia, lo conforta, lo amplia, lo fa parte di un Immenso.

È il peso del cielo
cenere sopita dal silenzio
nella disperazione.
Ma divampa ancora la scintilla
giù nel fango,
dura lo spirito acceso.

(Il peso del cielo)

La luce non combatte il buio, semplicemente lo dissolve. Ma neanche. Il buio non esiste proprio come Ente in sé. Perché lo dobbiamo pensare come tale? Già dargli un nome è una menzogna, un abominio. È semplicemente assenza di luce, cioè esiste solo in via illusoria e solo se e quando la densità fotonica in una parte di spazio si rarefa. Nessuna guerra titanica tra luce e buio. Molto, molto, molto più semplicemente quando c’è Lei non c’è “lui”. Punto.

Ma il buio, piano piano
si dissolve
dentro il primo rosa,
ed è il vago biancore
dell’alba.

(Dolomiti lucane)

Con queste brevi citazioni dell’ennesimo capolavoro poetico di Marco Onofrio, “Luce del tempo” (Passigli, 2024, pp. 136, Euro 15), voglio provare a trasmettere fosse anche una minima parte della spettacolare giostra di emozioni che, a proposito di tutte queste riflessioni che da sempre mi abitano, ha suscitato in me, come sempre, la lettura del Suo testo.

Allora, tu che senti
consenti che quel cerchio sia protetto
e riconquisti il nero, lo dissolva
velo dopo velo in modo netto.

(Promettimi l’azzurro)

La luce citata nel titolo viene colta e addirittura rallentata, sembra proprio che Marco Onofrio sia riuscito nel proverbiale sforzo d’infanzia di catturare al volo una cometa, così da permetterci di leggerla in parole, in versi a volte potenti, a volte teneri, a volte spessi, a volte esili, che ci accompagnano come nel più generoso degli amplessi a un’estasi suprema, una scintillante consapevolezza di quel qualcosa in più che da sempre sappiamo esistere, un tesoro di incalcolabile valore, di cui siamo sicuri, un giorno, aver posseduto la mappa. La X ben chiara segnata sopra, magari al centro di intricate foreste, in un’isola che c’è (madre santissima se c’è!) come scrivo nella mia canzone “Lo sai solo tu”. E poi che fine fa questa mappa? Da bambini la conoscevamo a memoria tanto era impressa dentro di noi. Poi è quasi sempre necessario fare un percorso, perdersi, ritrovarsi, riperdersi ecc. Marco è la mappa. Marco e il Suo infuocato verseggiare, vento sahariano che scuote vecchie persiane lignee verdi, scrostate dalla luce del sole e dal tempo, in un piccolo paesino della costa calabrese, depositando infiniti e infinitesimi grani di sabbia, un tempo profondi, giovani oceani, oggi vecchi fossili, rugosi e secchi in fila alla posta, che maledicono il Governo.

Terra che mi ha dato il sangue greco.
Orgoglio, lealtà, passione:
slancio smisurato di guerriero.
Le radici del mio cuore
e il destino d’ogni mio pensiero
sono abbarbicati a questo cielo
che ammiro qui
dall’ombra della Sila.

(Quasi una madre)

“Luce del tempo” non è un libro di poesie. “Luce del tempo” è una Poesia di libro. Come fare, come scegliere una o più citazioni particolarmente felici in questo mare tempestoso di vita, dove fiumi di lacrime e fiotti di sperma esplodono gloriosamente insieme, finalmente liberi e restituiti a pari dignità di tematiche “parlabili” e celebrabili dalle pagine gloriose di questo instancabile, indomito poeta?

Calda colante lumaca
rosa rorida
polpa tumida,
stilla di piacere
a contrazioni
irresistibile magia
della sorgente.
Bocca verticale che non parla
e dice tutto
l’universo intero
a chi la sente.
Il vuoto del suo pieno.
La capienza a specchio
del suo doppio.
Il silenzio eterno
delle stelle.
Il mistero della verità.

(Bocca verticale)

Marco Onofrio è il novello Mosè che chiude al suo passaggio secoli di contraddizioni, di “sciocche fole” (per citare Emporium, altro Suo immenso capolavoro sfociato poi ne “La cenere dei Sogni”, progetto teatrale, musicale di forte impatto psico-emotivo) su cosa è sacro/cosa è profano e altre miseriacce stitiche e desuete per secoli imposte dalle cosiddette classi alte su quelle (altrettanto cosiddette) basse. E Marco Onofrio è anche un Orfeo contemporaneo che, cavalcando il fedele destriero di un lirismo incontrastabile, incontenibile, incontrovertibile e quanto mai credibile, scende giù, giù, in fondo fino agli Inferi degli Inferi, lanciandosi abbondantemente dietro le spalle con fierezza il tempo con i suoi ormeggi e i suoi oltraggi, infliggendo colpo su colpo ai meccanismi della vita cellulare con la sua spada di Luce, fino a riportare a casa papà Aurelio e mamma Piera. E il miracolo ancora più grande è che permette, attraverso il proprio viaggio, a ogni lettore di fare altrettanto. “Morte e Resurrezione, scandaglio e dissoluzione di ogni limite umano.” Questo potrebbe essere tranquillamente il sottotitolo eterico, immateriale, inciso in filigrana a “Luce del tempo”.

Oggi questa “luce” così fortemente e lucidamente analizzata, seguita, osservata, amata, attraversata, posseduta dal grande cuore di Marco Onofrio, finalmente attraversa il “tempo” e lo sgrava da tutte le mediocrità incrostate e incrostanti che esso porta con sé.

Valerio Mattei

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