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“Ricordi futuri”, letto da Maria Teresa Armentano

Questo saggio di Marco Onofrio, con i suoi trenta articoli e le sue dieci letture critiche, si impone nel settore editoriale come protagonista sia per l’ossimoro del titolo, sia per l’opportunità di riflettere sulla realtà offerta ai lettori che, confusi dalla nebbia del vivere quotidiano e da un’esistenza che si trascina senza interrogativi, preferiscono invece escluderla dai loro pensieri. Ogni articolo del libro pone domande che inquietano perché senza risposte e, nella loro singolarità, ne generano altre che moltiplicano i dubbi, solo in parte attenuati dalla saggezza delle citazioni che opportunamente si intrecciano con le considerazioni del saggista.

L’analisi della società contemporanea che Onofrio presenta è sconcertante ma puntuale e autentica, guarda con gli occhi di dentro ciò che è visibile ai molti che colgono la superficie di un magma ribollente: la società senza punti di riferimento, senza obiettivi comuni che potrebbero innestare il cambiamento. La parola Comunità, il senso profondo di una collettività che persegue fini non commerciali, non utilitaristici, non è più nel DNA di un mondo sempre più disumano, senza più compassione, incapace di guardare ai bisogni altrui, che si arrende ogni giorno avvicinandosi all’orlo del baratro. Il saggio di Onofrio offre una doppia lettura. La prima è quella del ricordare, infatti i suoi scritti sono un colloquio con se stesso come nei Ricordi dell’Imperatore Marco Aurelio; lo scrittore guarda con disincanto l’agire umano e trae forza dai suoi convincimenti persuadendo anche i lettori che esiste salvezza nella cultura, nell’educazione al bello, perché la bellezza è un ponte verso il mistero delle cose, nella lotta per cambiare noi stessi prima che il mondo. La seconda scandaglia la contemporaneità, sviscerandone gli aspetti peggiori che, diventati spesso abitudini inveterate, ci tolgono il fiato con un’ansia che si placa solo, quando si placa, con i tranquillanti. La passione insita nelle parole del saggista valica i confini della oggettività quando lo scrittore, generalizzando un modello, trasforma una minoranza di donne in maggioranza. Sì, moltissime donne concorderebbero sull’idea che esse assumono il ruolo di consolatrici credendo di poter redimere e trasformare un uomo, ma in realtà cambiano solo se stesse. Il motore di questo cambiamento è il mistero dell’amore che, insondabile, angoscia l’essere che non sa risalire dalla profondità del pozzo in cui le domande senza senso lo hanno respinto. Negli ultimi articoli, concernenti gli anni più recenti, Onofrio disegna uno scenario apocalittico davanti a cui il singolo e anche i popoli sono impotenti, presi come sono in un ingranaggio che li stritola. In questa analisi il “modus rebus” non c’è perché si sono superati i sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum di oraziana memoria. In quel secolo prima di Cristo si rafforzavano gli stravolgimenti causati dal potere e dalla tirannide, ma erano presenti valori come la bellezza della poesia, l’amicizia e il desiderio di una vita semplice che combattevano la deriva verso cui la civiltà del tempo si avviava. Nel periodo in cui viviamo, non resta che un Recede in te ipsum che mi sembra anche la conclusione a cui giunge Onofrio quando scrive di desiderio come movimento della volontà verso qualcosa che non c’è ma potrebbe esserci se ognuno di noi, nel ritrovare se stesso, diventasse motore della Storia.

Non posso evitare di soffermarmi sulle letture critiche, quasi una summa che amplia lo sguardo nell’incontro non casuale di pagine letterarie spesso meno conosciute o dimenticate. È merito di Marco Onofrio affascinare il lettore con le sue pagine critiche e la sua bella, incisiva scrittura: non un’appendice ma saggi all’interno di un saggio che offrono ritratti pieni di un’epoca, di un popolo e di uno scrittore. Non ultimo pregio di questo testo la possibilità di scegliersi argomenti diversi e di ritrovare un filo comune, che è la schiena dell’autore diritta dinanzi al potere, il suo dire senza retorica, lo squarciare il velo dell’apparenza per consentirci di intravedere la verità di una realtà che ci è tanto estranea   umanamente da desiderare di respingerla e annullarla. Alla fine di una delle sue letture critiche l’autore riporta queste parole, degna conclusione ideale del suo testo: “Porto con me la certezza che l’uomo ha ancora la possibilità di guardarsi allo specchio e ritrovarvi un essere gioioso e speranzoso se è cosciente di chi è e di che cosa deve fare insieme agli altri” (da “(H)ombre(s) migranti”, di Andrea Cantaluppi).

Maria Teresa Armentano

“L’officina del mondo. L’opera poetica di Dante Maffìa”, letto da Vincenzo Guarracino

È stato recentemente pubblicato, presso Città del Sole Edizioni (novembre 2021), un ampio saggio di Marco Onofrio, “L’officina del mondo. La scrittura poetica di Dante Maffia”, che, già fin dal titolo molto eloquente, si annuncia come una guida assolutamente necessaria alla scoperta di una tra le voci più prestigiose della poesia contemporanea italiana, in un viaggio di analisi e critica quanto mai esaustivo tra opere, emozioni, esperienze nel tempo oltre che autorevoli testimonianze critiche.

Marco Onofrio (classe ’71), poeta e saggista romano noto, oltre che per la sua attività editoriale, per la sua notevole produzione letteraria (da citare almeno il suo più recente libro di poesie Azzurro esiguo, 2021, assieme a numerosi contributi critici su autori novecenteschi, in particolare Campana e Caproni), è non da oggi un fedelissimo della scrittura di Dante Maffia, essendosene occupato con costanza prima di arrivare finalmente con questo volume a dare un saggio della sua capacità di penetrare, con acribia critica non meno che “con intelletto d’amore”, nel vivo dello spazio creativo dello scrittore calabrese, partendo da un’affermazione che è frutto di matura e meditata convinzione, e cioè che “Dante Maffia è un grande poeta”, che gode di una schiera vasta di estimatori (quorum ego…), argomentandone l’apparente assiomatica perentorietà con abbondanza di dimostrazioni testuali e chiarimenti critici, con un occhio sempre attento alla comunicazione, al pubblico.

Comincia proprio così, Onofrio, sottolineando come la poesia non sia “un mestiere che si impara da zero”, bensì un modo di essere, un talento innato alimentato da esercizio e studio ininterrotti. In questa linea si innesca tra Poeta e critico una sorta di corpo a corpo, di fecondo scambio di umori che porta il secondo a rintracciare nel primo, negli oltre cento libri da lui pubblicati, ciò che entrambi sentono sul terreno della vita e della poesia, quei valori come l’autenticità, la sincerità, la schiettezza istintiva e la passione (per Maffìa, soprattutto, onnivora e assoluta, per la Parola poetica), che costituiscono la base imprescindibile di ogni Amicizia e che tra i due data ormai da una quindicina d’anni.

È per questo, ma non solo per le date, che il loro è un sodalizio umano e letterario ben consolidato: un sodalizio che permette a Onofrio, senza essere offuscato dalla stima e dell’amicizia che li unisce, di rintracciare ed evidenziare dell’Amico (e Maestro) non solo le abilità letterarie e intellettuali, ma soprattutto la profonda sensibilità che lo contraddistingue. A partire dalle origini e soprattutto, dopo la “Sintesi” iniziale, attraverso l’ampia sezione di “Letture e approfondimenti”, viene ripercorsa in quasi 300 pagine come in una sorta di cantiere aperto tutta l’opera di Maffìa, dal 1974 al 2020, per essere accuratamente scandagliata e approfondita nei suoi interstizi in tutte le sue molteplici sfumature, e farne emergere il dato anche più umano.

È così che “L’officina del mondo” si rivela in tutta la sua necessità (espressiva, filosofica, estetica, civile), ben più che un’antologia di testi, ancorché puntualmente commentati, come un vero e proprio Manifesto (di poetica, di critica), come un laboratorio di sperimentazione e analisi, accessibile a chiunque voglia mettersi in ascolto e scoprirne la bellezza: una vera e propria monografia che pone al centro l’anima non solo del Poeta ma anche del critico che lo accompagna, facendo di entrambi emergere a tutto tondo la Parola in tutta la sua verità.

Vincenzo Guarracino