Dopo il primo tentativo sistematico di Antonio Iacopetta del 2009 (Il cerchio aperto. Studio su Dante Maffìa, edizioni Feeria), che però aveva rinunciato a una bibliografia e una bibliografia critica ragionata, nel 2014 la critica cercò di fare il punto sull’opera di Dante Maffìa. L’editore Aracne pubblicò la raccolta di saggi – di fatto gli atti del convegno tenutosi a Roseto Capo Spulico – Ti presento Maffia a cura di Rocco Paternostro. Si trattava di 530 pagine di saggi sulla figura e l’opera di Maffia, anche questa però senza bibliografia e bibliografia critica. Sempre nel 2014, Marco Onofrio spostava il punto di vista e si incaricava di analizzare Maffìa in prosa con Come dentro un sogno. La narrativa di Dante Maffìa tra realtà e surrealismo mediterraneo (Città del Sole edizioni, senza apparato critico e bibliografico). Nello stesso anno uscì La casa dei falconi per puntoacapo editrice, a cura dello scrivente. Si trattava di una snella antologia di 249 pagine che rendeva ragione di un lungo periodo di scrittura in versi dall’esordio del 1974 al 2014, corredata da 36 pagine di bibliografia, antologia critica e un saggio introduttivo ricognitivo della poetica dello scrittore a firma del curatore.
Mancavano alcune vaste aree ancora da esplorare (il critico letterario, il saggista, l’autore teatrale, il critico d’arte), ma tutto sommato si pensò che la “questione Maffìa” fosse almeno per il momento sistemata. Non era affatto così. Mentre i critici si affannavano a scrivere, sistematizzare, fissare e chiudere, il poeta lavorava febbrile, inquieto, feroce, magmatico, sotterraneo e scoperto a un tempo. A maggio 2013 usciva un poema di 628 pagine, IO. Poema totale della dissolvenza (Edilazio editore). Nello stesso 2014 veniva dato alle stampe un altro poderoso volume di versi Il poeta e la farfalla (edizioni Lepisma) che apriva stagioni e percorsi totalmente inediti. I critici stavano correggendo le bozze dei loro saggi e Maffìa scappava loro fra le mani con migliaia di nuovi versi, con squarci e abissi nuovi e giganteschi come continenti.
A distanza di 7 anni da quel 2014, Marco Onofrio riprova a fare il punto rivolgendo il suo impegno critico sul versante della poesia con L’officina del mondo. La scrittura poetica di Dante Maffìa (Città del Sole edizioni). Che Dante Maffìa sfugga alla critica e a chi in un modo o nell’altro cerca di dargli un vestito, una posizione e un ruolo, Marco Onofrio lo sa bene e lo evidenzia già nelle prime cinque pagine del volume dove racconta di un poeta che manda al diavolo, rifiuta onorificenze, sbatte la porta ma allo stesso tempo spalanca portoni al cuore, all’amore, all’amicizia, senza mai farsi chiudere o ingabbiare e, soprattutto, senza piegarsi a logiche di consorteria e cricche editoriali. Onofrio è consapevole che fare critica su un poeta vivente – e che scrive a getto quasi continuo – comporti l’impossibilità di mettere tasselli definitivi. Il punto però non è questo: è la poesia di Dante Maffìa a sfuggire, a essere rutilante, magmatica, a sfidare il pensiero, la conoscenza, l’amore, il divino. Anche di questo Marco Onofrio è consapevole; scrive sapendo di mettersi per mare con ottimi strumenti critici, ma sapendo di non sapere la vastità del pelago nel quale si muove. Del resto, per comprendere come Maffìa sfugga a una declinazione unica e definitiva, basta leggere le definizioni del poeta calabrese rinvenibili nella prima parte del libro, la Sintesi analitica che occupa le prime 74 pagine: Dante Maffìa è un grande poeta; il poeta lo è per lo sguardo avuto dalla natura; il fare del poeta è quello stesso del suo essere; Maffìa non bleffa; Maffìa non è uomo incline al compromesso né alle mezze misure; Maffìa non sa bussare né chiedere; Maffìa va dritto al bersaglio; Maffìa non edulcora; Maffìa chiede al sole di aprirsi e dettare; Maffìa ha chiaramente ricevuto o forse ereditato un dono spirituale che lo obbliga a innescare la cerimonia magica della scrittura; non c’è luogo o anfratto dove Maffìa non abbia avuto curiosità o ardire di incunearsi; Maffìa sa raccogliere un canto dal deserto di ogni terra desolata; Maffìa non lascia cadere il filo d’Arianna della comunicazione; Maffìa cerca l’origine; Maffia è il maggiore poeta vivente; Maffia parte sempre dalle cose comuni; Maffia sa bene come controllare il fuoco; il poeta è, citando Quasimodo, un umile “operaio di sogni” che lavora “nella marginalità dello spazio”.
Da questa lunga elencazione il lettore potrà cogliere due aspetti dell’analisi di Onofrio. Il primo è il seguente. Il critico romano inizia la sua analisi con l’affermazione Dante Maffìa è un grande poeta. Si tratta di una proposizione di principio che può essere colta più come un assioma che come una tesi, con la conseguenza che le pagine che seguono non hanno lo scopo di dimostrare l’affermazione, ma semplicemente illustrarne le conseguenze in termini strettamente poetici. Del resto basta aprire una qualsiasi delle pagine del saggio introduttivo per accorgersi – e questo è uno dei pregi del libro – come le analisi e le riflessioni di Onofrio siano sempre legate ai testi che, attraverso una costante citazione, portano a creare una rete di connessioni, indispensabile per entrare nell’opera di Maffìa. La citazione, tuttavia, non ha un intento dimostrativo, essa piuttosto si inserisce in maniera intertestuale nel tessuto del saggio al punto che in una lettura ad alta voce l’ascoltatore farebbe fatica a separare i versi del poeta dalla prosa del critico.
Il secondo aspetto che il lettore può trarre dall’elenco di definizioni del poeta Dante Maffìa è l’intenzionalità di Onofrio di puntare alla molteplicità e non a un’analisi che voglia definire e chiudere. L’obiettivo ampiamente raggiunto è quello di guidare il lettore innamorato nella ricerca del cuore del poeta Maffìa. L’officina del mondo non è quindi un punto di arrivo, ma semmai un luogo dal quale partire con la speranza di perdersi e ritrovarsi nei versi del poeta. È una mappa, un prontuario da tenere con sé che ricorda le migliori pagine di quella biografia-saggio-romanzo che è l’Evaristo Carriego di Jorge Luis Borges.
L’officina del mondo è distinta in tre parti. La prima è la Sintesi analitica della quale si è già accennato. Si tratta di un’analisi che va al nocciolo della visione del mondo e della scrittura di Dante Maffìa, cioè della sua altezza nel senso medievale della parola latina altus, usata per indicare la sommità del cielo quanto la profondità dell’abisso. Onofrio riesca a cogliere la capacità della poesia del nostro di trovare il sublime nel firmamento e nell’esile filo d’erba, nell’opera più alta e nella latrina piena di mosche; la capacità di entrare nelle cose e nell’amore senza infingimenti, con quell’onestà di fondo che Maffìa trova nel suo poeta novecentesco più amato: Umberto Saba. Il critico romano prende con punto irradiante per la sua analisi il poema totale del 2013; da lì esplora tutto Maffìa, trovando agganci soprattutto nella poesia posteriore al poema, Il poeta e la farfalla del 2014 e i 7 libri dedicati a Matera, fino a quel libro, feroce, terribile e titanico che è il suicidio lo stupro e altre notizie del 2020. Effettivamente, nei pochi mesi della fine del 2013 e l’inizio del 2014 che coincidono con la pubblicazione del poema totale e Il poeta e la farfalla, Maffìa rivela sé stesso e il suo mondo in maniera sorprendente, apre spiragli nuovi, feritoie di luce e di nuova poesia che introducono la grande stagione materana che impronta gli ultimi testi. Tale fecondità ricorda un altro anno forse ancora più strabiliante: il 2011 quando il poeta pubblicò 5 libri di capitale importanza: Poesie Torinesi, La strada sconnessa, Abitare la cecità, Poesie ritrovate, Sbarco clandestino.
Nella sua analisi Onofrio sceglie di non occuparsi della produzione in lingua calabrese composta dai libri A vite i tutte i jùrne (1987), U Ddìje poverìlle (1990), I rùspe cannarùte (1995), Papaciòmme (2000), che fu accolta con grandissimo favore dalla critica e che ebbe l’avallo illustre di uno studioso della poetica dialettale italiana quale fu Giacinto Spagnoletti. La scelta è da ricondursi alla volontà di non cadere nella trappola di chiudere Dante Maffìa nella dicotomia poeta dialettale (e quindi regionale) – poeta tout court. È una valutazione corretta, anche se finisce per non considerare come Dante Maffìa affidi al dialetto la riflessione filosofica più alta e dolente, profondamente esistenziale, mentre quando deve affrontare i temi dell’emigrazione e cantare la sua Calabria, a partire dall’eredità infranta del 1981, preferisca affidarsi all’italiano. Basterebbe questa annotazione per fugare qualsiasi dubbio circa la presunta “regionalità” di Maffìa, il quale peraltro non ha alcun timore nel rivendicare un’origine mediterranea, misterica e antichissima.
La seconda parte di Officina del mondo è costituita dalle Letture e approfondimenti nella quale Onofrio si dedica alle singole opere poetiche del poeta. Il critico rinuncia a entrare in ogni libro o a compiere una sintesi tematica (peraltro accennata a pagina 46 e dintorni della Sintesi analitica). Sceglie invece 20 libri che ritiene più significativi e compila le relative schede, poste in ordine cronologico di pubblicazione, per guidare il lettore nei libri del poeta. Si tratta di recensioni che hanno l’approfondimento di veri e propri saggi che rendono ulteriormente conto della capacità di analisi e di sintesi di Onofrio, che anche nel rigore recensorio non dà mai nulla per scontato, ma aggancia ogni affermazione ai versi del poeta, attraverso una fitta rete di citazioni.
La terza ed ultima parte è l’Antologia. Si tratta forse dell’operazione più sfidante del critico romano. Si può solo immaginare la fatica di sintetizzare Dante Maffìa e i suoi 47 anni di continua e fecondissima produzione poetica in 57 pagine. L’operazione è riuscita e l’antologia riesce a fornire un quadro significativo, soprattutto in un’ottica di lettura sistematica del libro (la Sintesi analitica e schede).
Il libro non finisce qui, lo completano gli Apparati bio-bibliografici a cura di Francesco Perri che comprendono, oltre alla bibliografia, anche un’antologia dell’epistolario che include fra gli altri nomi quali Jorge Luis Borges, Jorge Amado, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia, Italo Calvino, Josif Brodskij che hanno scritto e conversato con Maffìa. Segue un’antologia essenziale di saggi, articoli, recensioni e prefazioni a firma, fra gli altri, di nomi come Aldo Palazzeschi, Mario Luzi, Dario Bellezza, Giorgio Caproni, Andrea Zanzotto, Franco Loi.
L’officina del mondo è quindi un libro completo senza avere la pretesa della completezza; è ricco sapendo di essere povero, vuole essere definitivo sapendo di non poterlo essere. Si offre con la stessa generosità e uguale indispensabilità a chi non ha mai letto Dante Maffìa e a chi di Dante Maffia si occupato estensivamente. Testimonia anche l’abilità di un critico come Marco Onofrio, il quale senza rinunciare al rigore è capace di costruire un grande affresco a tratti lirico, a volte narrativo. Del resto Onofrio ha avuto modo di confidare come questo libro sia prima di tutto un atto di amore verso un grandissimo poeta. Un amore che non si può non condividere.
Luca Benassi