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10 dicembre 2023: l’intervento di Marco Onofrio alla Sala “Aldus” de La Nuvola di Roma (“Più libri più liberi”) per i 25 anni della Casa Editrice Edilazio

Celebrare i 5 lustri della magnifica casa editrice fondata dal compianto Willy Pocino nell’ottobre 1998, implica una complessità tale – di aspetti e problemi su cui riflettere – che è estremamente riduttivo sintetizzarla nei pochi minuti a disposizione. Si accendono tante idee in contemporanea, come finestre collegate in dialogo. Ad esempio il rapporto tra la pagina e il mondo: come ne viene condizionata, quasi scritta dalle mani stesse del tempo in cui viene alla luce, e quali margini di intervento le sono ancora concessi, tanto più oggi, per contribuire a trasformarlo. Oppure il grande tema della memoria, e della memorabilità di cose, fatti e persone, in una società consumatrice che la globalizzazione ha trasformato in lavagna magnetica per cui tutto diventa continuamente obsoleto ed effimero, non lascia traccia, e allora finisce per essere anacronistico chi, come una casa editrice seria, lavora e lotta per valorizzare il senso della differenza, della irripetibile unicità di ogni reperto o documento, dello spessore prospettico che consente di opporsi all’appiattimento della omologazione generalista, ai margini del cosiddetto mainstream.

Una volta si aveva il tempo necessario per la sedimentazione e la metabolizzazione del prodotto. Oggi ad un autore non bastano 3 libri l’anno per essere ricordato: la macchina culturale è un frullatore che divora e consuma tutto in pochi giorni. Anche i decani sono messi nelle condizioni di eterni esordienti, devono dimostrare continuamente chi sono e cosa hanno conseguito. È un mondo ad alte prestazioni performative, dominato dallo spirito manageriale e dai consuntivi economici, dove si dà per sottintesa la fine dei valori “alti”, delle parole maiuscole, degli ideali. Anche la letteratura deve conformarsi a questo trend commerciale: prevale il minimalismo, lo scetticismo blasé di chi, per fare la figura del furbo che la sa lunga, non prende più niente sul serio, tranne i soldi. E così via.

Alla fine il problema si riduce solo a questo: credere o non credere nell’umanesimo. La sua eternità, e dunque malgrado tutto il suo futuro. Ebbene, la verità è che solo gli editori “piccoli” e indipendenti come Edilazio possono permettersi di farlo! Per questo sono, di fatto, oasi di ristoro nel deserto più assetato e desolato. Mi viene in mente una famosa pubblicità degli anni ’70: “per dipingere una grande parete non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello”. Ovvero: per dipingere la parete del tempo – questo fa da sempre la cultura, svelando chi siamo stati, chi siamo e chi saremo – non occorre un editore grande, ma un grande editore! Gli editori grandi spesso sono piccoli piccoli… Sono costretti ad esserlo: in quanto aziende strutturate, devono far quadrare i conti della loro organizzazione industriale. Non possono permettersi esperimenti rischiosi, e allora vanno sempre sul sicuro conformando e confermando il gusto del largo pubblico, plasmandolo man mano verso il basso in un perverso circolo vizioso. Come la formalizzazione di un movimento sbagliato, che accentua il danno ortopedico e il conseguente dolore. Le major editoriali diventano quindi gli altari dove si celebra la “cosa stabilita”, il politicamente corretto, il luogo comune, il suono della maggioranza, il brusio dei pappagalli del “si dice”. Sono mass media generalisti che, come i giornali e le radiotelevisioni, obbediscono alle agende della politica e della finanza: forni a microonde dove viene semplicemente scaldata la pappa pronta, precotta e surgelata da chi decide nelle segrete stanze.

D’altra parte, se non pubblichi con l’editore grande non vieni preso sul serio. I recensori e i critici, per fare carriera e mantenere le posizioni conquistate, si occupano solo delle opere e degli autori di potere, e questo rafforza il sistema per cui anche il fruitore culturale medio pensa, in automatico, che se l’autore x è pubblicato dall’editore grande lo è per merito, e gran parte di questo merito alla fin fine è – con spettacolare contorsione tautologica – l’essere stato pubblicato da un marchio così prestigioso! Ignorano o fingono di ignorare che in Italia chi c’è e appare a livelli “ufficiali”, c’è e appare quasi sempre perché “deve” starci – come da agenda concordata – e insomma perché “vuolsi così dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare” ché se invece continui a dimandare, avrai le tue brave rogne e forse è meglio se vai a far danni altrove. E poi si lamentano, ipocriti, della fuga dei cervelli che dissangua le nostre risorse! Le cose autorevoli e ufficiali sono in gran parte decise a tavolino secondo un sistema di convenienze – gestito da poteri più o meno occulti, e i partiti politici sono soltanto la punta dell’iceberg – per cui chi è fuori dai giochi resta escluso dal grande giro e viene bloccato dai muri di gomma, se poi si ostina a volerci essere. Tutto questo, si badi bene, a prescindere dal merito, ché anzi il merito – in un sistema dove il potere stesso è valore da esibire – finisce per essere una colpa che si ritorce contro il guastafeste di turno che lo rivendica. Lo stesso trattamento viene riservato alle case editrici fuori dal coro che non mettono in vendita la propria libertà, e allora finiscono per pagarne il prezzo.  

L’ottundimento culturale deriva anzitutto da un problema: la gente non legge, non approfondisce, ha una fruizione distratta e ipnotica delle cose, plasmata dal consumo quotidiano dei social e dall’abuso dell’i-phone. Drizza le antenne solo quando c’è il personaggio, il nome di successo, il cantattore. Sarebbe interessante sperimentare le differenze di ricezione che ai testi vengono concesse se di autore sconosciuto o viceversa affermato: cambia completamente il modo di percepire le stesse parole. E che dire del differente credito concesso all’autore, quando viene finalmente riconosciuto per le opere che prima venivano ignorate? Allora spuntano come funghi i profeti del giorno dopo: “lo avevo sempre detto, io!” E guarda caso parlano sempre a risultato acquisito… Si rilegga a tal proposito un romanzo emblematico come “Martin Eden”, di Jack London, che mette in luce fin dai primi del ‘900 le storture dell’industria culturale. È su questo orizzonte di attesa che vanno ad innestarsi i condizionamenti del mainstream. Le matrici della codificazione sono inquinate all’origine. Anche persone di cultura medio-alta sembrano aver smarrito il coraggio e gli strumenti critici per elaborare giudizi autonomi. In Italia, poi, ci sono più scrittori o sedicenti tali, che lettori! La cultura diventa così una vetrina di mistificazioni e uno strumento di autopromozione sociale: basti vedere le presentazioni dei libri, ormai nient’altro che passerelle di narcisi che smaniano per fare la ruota del pavone…

Ecco, date queste premesse, Edilazio è una casa editrice di sostanza autentica, non di forma vuota. Infatti, lungo il percorso dei suoi 25 anni di ammirevole attività e dei suoi circa 350 volumi pubblicati, ha saputo spezzare la catena perversa dell’autore valutato non per il valore dei libri che scrive, ma per l’autorevolezza dell’editore che lo pubblica e il carisma del potere che lo sostiene. A Willy non interessava “chi mandava chi” ma semplicemente la qualità e il rigore delle opere proposte. L’autore poteva anche essere completamente privo di “santi in paradiso”: se era bravo, otteneva udienza, attenzione e riscontro. Questo fattore umanistico in primo piano ha improntato da sempre e per sempre la “mission” della casa editrice, e cioè che la cultura ha in sé un mandato imprescindibile: esplorare il tessuto infinito dell’esistenza per riconoscervi l’universale. Ciò che ci rende Uno attraverso i secoli: l’umano condivisibile, l’uguale nel diverso e insieme il diverso nell’uguale, in un gioco di rispecchiamenti tra identità e alterità che dà sostanza alla storia, all’esperienza, al vivere civile. Edilazio non ha mai derogato al concetto che dell’editoria sviluppò Aldo Manuzio da Bassiano, a cui questa sala è dedicata: “mercanzia d’onore”, non solo d’utile. E quindi appello a tutto ciò che di alto e nobile abita nella natura umana. Verità, bellezza, etica, spazio di resistenza e condivisione. La cultura plagiata dai valori utilitaristici e dall’ipocrisia finisce invece per scavare abissi tra le persone, armandole l’una contro l’altra.

La lezione inesauribile di Roma come oceano di conoscenza ha insegnato alla casa editrice di Pocino la dialettica creativa tra particolare e universale, l’infinita ricchezza dei dettagli, le stratificazioni della complessità. Ogni collana è stata pensata come sottoinsieme autonomo della casa madre, e in certi casi nutrita a tal punto da potersi estrapolare come casa editrice a sé: ad esempio la fortunatissima “Studi e documenti” giunta alla sua cinquantacinquesima pubblicazione. Insomma Edilazio ha raggiunto e mantenuto il difficile equilibrio fra ragione e sentimento, come dimostra ancora una volta il volume “Roma nel cuore” appena pubblicato in onore di Willy. E proprio a lui penso per concludere, mutuando una definizione che Eugenio Montale diede del romanista Pietro Paolo Trompeo: “superstite esemplare di umanista di vecchio stampo, alieno da borie professorali, instancabilmente curioso, aperto a tutte le forme dell’arte e della vita”. La casa editrice Edilazio è come l’abbiamo descritta poiché assomiglia molto al suo fondatore, a colui che le ha dato l’impronta e l’ha sostenuta anche a costo di importanti sacrifici. Per questo è una casa editrice speciale e per certi versi unica.

     Marco Onofrio

“Lettera aperta a Willy Pocino, in memoriam”, letta da Marco Onofrio in occasione dell’Omaggio dell’11 novembre 2023, a tre mesi dalla scomparsa

E così, caro Willy, non ti possiamo più toccare. Non vediamo più il lampo dei tuoi occhi sorridenti. Non ascoltiamo più il suono della tua voce. Ma tu davvero te ne sei andato? O non, piuttosto, ti sei semplicemente trasferito nella stanza accanto, per cui ora ci vedi, ci ascolti, cammini invisibile in mezzo a noi?

L’estate giocoforza travagliata, la tua condizione sempre più fragile, l’urgenza che, implacabile, bussava sempre più spesso alla porta. Ero partito per una breve tregua, qualche giorno di mare in Calabria, con il conforto di una piccola speranza. La dialisi peritoneale non aveva funzionato, ma l’emodialisi completa ti aveva prontamente ristabilito, sia pure per poche ore. “Finalmente mi sento bene” mi avevi detto in un sospiro l’ultima volta che ci siamo visti, dal letto dove eri ricoverato, all’ospedale S. Giovanni di Roma, più per rassicurare me che per esprimere una tua sicura convinzione. Pareva insomma che si fosse imboccata la strada buona… e invece, di lì a poco, l’atroce notizia. Ero in spiaggia quella mattina, stavo facendo il bagno nelle acque blu di Scilla mentre tu nascevi al mondo della Luce che non tramonta mai. 11 agosto 2023. Eri libero dal grumo dolorante della carne, che tanto ti aveva fatto penare nell’ultimo anno della tua lunga vita. Chissà se il tuo spirito, trasumanato dall’immensità della scoperta che ci attende dopo l’ultimo respiro, spinto dalla sapienza inconcepibile della Grazia o guidato dalla voce delle Sirene mediterranee, è venuto a salutarmi subito dopo, nel grido fuggitivo di un gabbiano, nello scroscio di un’onda, nel guizzo lampeggiante di un riflesso.

Che mistero terribile è la morte! La persona cara se ne va e noi, se siamo lontani, in quel momento non ne sappiamo nulla, restiamo esclusi dal percepire quanto accade o è appena accaduto, immersi nel torrente della nostra esistenza che invece prosegue. E così arriva la “telefonata” che non vorremo mai ricevere: Mariarita, distrutta dal dolore, singhiozza al telefono e io capisco subito. In un attimo, mentre le lacrime scendevano da sole, irrefrenabili, ho rivissuto tutti gli attimi trascorsi insieme a te: i pranzi, le cene, le gite, le vacanze, i discorsi, i ragionamenti, le riflessioni comuni, le storie e le storielle che mi raccontavi e che a un certo punto sapevo e ricordavo meglio di te, quei deliziosi aneddoti con cui, affabulando, sapevi affascinare chiunque ti ascoltasse, anche perfetti sconosciuti, e poi i casi incredibili di cui ancora ti stupivi dopo anni, le barzellette, quelle piccanti e quelle più castigate, e le risate, le risate e le risate… Quante me ne avevi fatte fare! Con te si stava in semplice armonia, creavi ovunque un clima di festa, di dolcezza, di calda bellezza umana. Mettevi pace, scioglievi le tensioni, rinfrancavi i cuori. Era uno dei tuoi carismi. Mi avevi accolto come un figlio, con tenerezza immediata, e poi eravamo diventati complici e confidenti, come amici di vecchia data. 

Ah, le estati indimenticabili nelle Marche, a Pievebovigliana, trascorse al fresco di quella casa che il terremoto del 2016, vissuto in diretta proprio lì, ha reso temporaneamente inagibile e dove entrambi ci portavamo per le vacanze cataste di libri da leggere e almeno un’opera da continuare a scrivere nella concentrazione assoluta di un silenzio confortato dalla dolce musica scrosciante della cascata che spumeggia al lato della strada! E poi le bozze infinite da correggere, nelle quali ti vedevo sempre impelagato con la tua penna rossa e i tuoi segni minuscoli, come la grafia con cui scrivevi. E l’impaginazione della tua, della nostra amata rivista, “Lazio ieri e oggi”, la tua primogenita creatura. E gli eventi culturali da organizzare e svolgere, i libri da presentare, e le fatiche della Fiera all’Eur in cui ogni anno a dicembre, fin dalla prima edizione, misuravi con soddisfazione i frutti del lavoro svolto. 

Non ti è stato semplice fare l’editore. Gli editori devono avere i peli sul cuore, e infatti sono quasi sempre spietati, opportunisti, indifferenti: l’esatto contrario di te! Edilazio, la casa editrice che hai sviluppato dalla rivista 25 anni fa, ti ha dato forse più dolori che gioie, talvolta esponendoti alla ferocia e alla rapacità di personaggi da dimenticare, e non aggiungo altro… Ma tu molto hai perdonato e capito, fornendomi con l’esempio diretto grandiose lezioni di vita su quella che amavi chiamare “cristiana rassegnazione”: la forza umile e gentile che ti faceva superare qualunque ostacolo senza mai perdere il filo della speranza, della fede in un futuro migliore per te e per tutti. Eri un inguaribile ottimista, e questo certe volte finiva per diventare un difetto poiché vedevi cose e persone migliori di quanto lo fossero realmente, e allora ti donavi – inerme di eccessiva fragilità – anche a chi non meritava, anche quando non avresti dovuto…

Sei stato fin troppo generoso, aiutando tutti e spesso avendone in cambio, com’è tipico di questo mondo, solo amarezze, torti e irriconoscenza. “Ci rimasi malissimo”, non a caso, è una frase ricorrente nelle memorie autobiografiche che hai scritto qualche anno fa – un libro che letto oggi, dopo la tua scomparsa fisica, ha ancora più valore poiché racchiude tutta la rara preziosità del percorso che hai sviluppato, così amabilmente, nella giungla delle vicende umane. Vorrei sottacere, ma non posso non ricordare, la stretta al cuore da me provata nel vederti più volte tornare a casa come un passerotto arruffato, stanco e deluso dopo lunghissime riunioni inconcludenti con politicanti della Regione Lazio o del Comune di Roma che ti palleggiavano da un ufficio all’altro, senza alcun rispetto per la tua anzianità, per capire se eri davvero ingenuo come sembravi o invece eri disposto, in cambio di qualche sovvenzione, a fare della tua rivista un organo utile alla loro volgare e implacabile ricerca del consenso. Tu venivi da un’altra Italia, quella dove la parola data aveva più valore di una firma scritta: sulla base di quale codice avresti potuto intenderti con certi squali, privi di ogni scrupolo elementare? E poi, perdonami l’appunto, non avresti dovuto sentirti umiliato, come peraltro accadeva, poiché l’umiliazione – a ben vedere – l’avevi inferta, non patita: non tu ma loro, i cialtroni in doppio petto, erano stati umiliati dalla tua nobiltà d’animo, dalla tua dignità, dalla tua libertà di piccolo gigante della Cultura, con l’iniziale maiuscola, tutt’altro che presunto galoppino delle cosiddette “politiche culturali”. E ciononostante ti rifiutavi di prendere atto della sporcizia del mondo, di capire cioè che prebende e benefici sono decisi a monte per questioni di opportunità e scambio di convenienze, non elargiti per motivi ideali o per la gloria dell’umanità.             

Bando alle amarezze, voglio farti sorridere un po’. Provo a raccontarti una storiella, perdona se non so farlo bene come avresti fatto tu. Ascolta dunque. Un re voleva sapere cosa fosse peggio, l’invidia o la meschinità. Per saperlo fece chiamare l’uomo più invidioso e quello più meschino di tutto il regno. Il re disse loro: “Chiedetemi ciò che volete, ma ad una condizione; darò all’altro il doppio di ciò che ciascuno di voi chiederà per se stesso”. L’invidioso e il meschino ebbero un giorno per pensarci e decidere. Entrambi passarono la notte insonne, ad arrovellarsi. L’indomani il meschino decise di non chiedere nulla, pur di lasciare l’invidioso a bocca asciutta. L’invidioso chiese che gli venisse tolto un occhio, pur di accecare il meschino. E ascolta ora questa battuta fulminante di Bette Midler: “Ora basta parlare di me, parliamo un po’ di voi. Cosa ne pensate di me?”. Ecco, ti ho appena illustrato il mondo della cultura: egocentrismo patologico, invidia, meschinità. Ma tu eri altro da tutto questo. Come tutti gli eccellenti eri umile, non sbandieravi mai i tuoi 40 libri su Roma, i tuoi innumerevoli premi, i titoli ufficiali acquisiti per merito (eri Cavaliere della Repubblica e Commendatore, ma nessuno lo sapeva), poiché avevi da sempre consapevolezza che dinanzi alla morte siamo tutti uguali e che quando arriviamo dove tu sei ora non ci portiamo dietro nulla di nulla, se non l’anima. E quella, tu, l’avevi grande. Infatti non cercavi ossessivamente il tuo tornaconto, non ti anteponevi agli altri, non adoravi il potere per inseguire il successo. Disse un’altra anima grande, Mahatma Gandhi: “Il giorno in cui il potere dell’amore supererà l’amore per il potere, il mondo potrà scoprire la pace”.

Direi per concludere che tu eri semplicemente questo: un uomo d’amore. Amavi gli altri, cioè desideravi il loro bene, godevi della loro felicità. Tenevi a farli essere liberi di essere se stessi: se non è amore questo, cos’altro lo è? Hai avuto in sorte un’anima speciale, da mago buono, e il tuo compito terreno era con ogni probabilità: sciogliere i nodi, costruire pace, aiutare gli altri. Ed è ciò che probabilmente continui a fare nella Luce, ora, alle radici eterne dell’invisibile. Noi siamo testimoni e memori del tuo insegnamento di vita e di cultura, e quando dico “noi” penso anzitutto alla tua amata, unica nipote: Valentina. Ti ricorderemo in ogni articolo che scriveremo, in ogni pagina che leggeremo, in ogni sguardo che poseremo sulla tua amata città. E avremo “Roma nel cuore” ogni volta che sarai nelle cose che vivremo. Un grande abbraccio, ovunque tu sia.   

Marco Onofrio

18 ottobre 2018: Marco Onofrio parla della rivista “Lazio ieri e oggi” al Convegno ROMA IN STAMPA

Roma1

Giovedí 18 ottobre 2018, ore 14.30

Intervento di Marco Onofrio
in qualità di Caporedattore della storica rivista
LAZIO IERI E OGGI
fondata nel 1965 da Willy Pocino

nel corso del Convegno
Roma in stampa. Le riviste di cultura romana oggi

convegno

Modera: Gino Falleri (Vicepresidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio)

Sala Capitolare del Palazzo dei Domenicani
(Chiostro di Santa Maria sopra Minerva)
Piazza della Minerva, 42 – Roma