“La libertà e il divieto. Viaggio nei libri di Marco Onofrio”, di Dante Maffìa, letto da Valerio Mattei

 

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Già recensire un libro è una piccola arte nell’arte, come partorire un figlio dal figlio già nato grazie all’ingegno dell’autore principale. Ma, certo, quando ti appresti a scrivere di un libro che di per sé inanella, a mo’ di diario di bordo, una serie di recensioni concepite nell’arco di oltre un decennio, ti fa uno strano effetto, come recensire una recensione, o, per citare l’autore oggetto di questa splendida monografia, Marco Onofrio, guardare dentro uno “specchio doppio”. Sto parlando di “La libertà e il divieto. Viaggio nei libri di Marco Onofrio” (Pellegrini Editore, Cosenza, 2024, € 15,00) di Dante Maffìa, saggio critico sull’imponente lavoro di Marco Onofrio, autore di eccezionale creatività, vitalità, estro, slancio appassionato per la vita e l’arte. Dante Maffìa ne traccia appunto un ritratto artistico “dal vivo” con passaggi e tonalità commoventi, perfino struggenti. Si ha la sensazione in alcune pagine che l’autore esca dal libro e ti prenda per mano fino a farti immergere nel mare oceanico delle opere di Onofrio. E lo fa con la naturalezza di una conversazione telefonica sviluppata mentre impasta farina con acqua e lievito, per preparare il pane.  

Occorreva rendere finalmente giustizia ad un autore che ha avuto nel tempo e ha ancora oggi il coraggio di denunciare a piena voce le tante contraddizioni (per usare un eufemismo) che violentano in generale tutti i campi professionali, con particolare riferimento all’editoria ma anche allo sport, alla musica, alla politica, con particolari accenti, se ci si fa caso, nei settori in cui è maggiormente implicata una messa in scena, un’esibizione, un pubblico, un palco e una platea. Dobbiamo purtroppo constatare che l’essere umano, dopo millenni, è ancora morbosamente attaccato al “comparire”, al “purché se ne parli”, ed è un virus che, soprattutto nell’epoca della dilagante “gnagnarella” socialmediatica, sta letteralmente esplodendo in maniera incontrollabile. Rifletto da molto tempo su questo fenomeno. In una mia canzone intitolata “Samurai” scrivo: “quest’isteria socialmediatica / è un riempitivo che ci svuota / sempre a scrollare qualche pagina / come criceti su una ruota”. Faccio sempre l’esempio del negozio di animali. Immaginate di passare dinanzi alla vetrina insonorizzata di un tale esercizio e di vedere una serie di cuccioli di cane che si accalcano dall’altra parte, abbaiando e saltando. Bene, finché c’è la vetrina tutto ok, li vedi ma non li senti. Fai “tap tap” col ditino sulla vetrina e te ne vai. Quelli dall’altra parte “bau bau” ma nessun suono esce da lì. Si immagini ora che per un qualche motivo questo vetro doppio a un certo punto vada in frantumi e tutti questi cani sciolti inizino non solo ad abbaiare (e adesso si sentono eccome), ma anche ad andare in giro in maniera scomposta e agitata. La nascita e l’esplosione dei social media corrisponde proprio al venir giù di questo vetro rinforzato che, insieme a molte opportunità, ha determinato anche il lievitare di tanto rumore di fondo. Ecco, Marco Onofrio (sono concetti fortemente espressi anche da Maffìa) è sempre riuscito a ignorare questo rumore di fondo, continuando la propria navigazione con fierezza nel mare agitatissimo di dinamiche tutt’altro che intellettualmente oneste, specie in campo editoriale.

Nel mettere giù queste righe, ripeto, mi sento in imbarazzo, poiché avverto con sincera emozione che tutto quanto sia attualmente possibile dire sul grande artista, poeta, saggista, narratore, drammaturgo, libero (liberissimo!) pensatore, innamorato (innamoratissimo!) della Luce, della Vita e dell’Amore stesso, che risponde al nome e alla penna di Marco Onofrio, sia stato scritto e detto da Dante Maffìa, in particolare attraverso “La libertà è il divieto”. Un libro non solo (sarò banale) bello oggettivamente, godibile e fruibile, scorrevole, ma allo stesso tempo denso di concetti, di rimandi, di citazioni a un panorama estremamente ampio di autori, di riferimenti ed esponenti letterari di rilievo. Ma soprattutto un testo utile! Il lettore che arrivi anche solo a metà delle sue 148 pagine in qualche modo “conosce” già Marco Onofrio, nella sostanza più autentica e immediata, anche se non avesse ancora letto una sua riga.

Una monografia che sotto sotto è una lettera d’amore scaturita anzitutto dalla stima… e da quale pregiatissima fonte! Avevo già avuto il piacere e l’onore di recensire “L’uomo che parla ai libri. 110 domande a Dante Maffia” (Edilazio, Roma, 2018, € 13,00) https://shorturl.at/FN9Js saggio/intervista invece a cura di Marco Onofrio sulle mille sfaccettature del Maestro Maffìa, e anche in quel caso avevo respirato a pieni polmoni la quintessenza della loro profonda, viscerale, inossidabile amicizia, nonché di un sodalizio artistico, di una comunione animica e mentale di rara intensità. Davvero uno “Specchio doppio”, come scrivevo sopra. Ma, sia chiaro, tiene a precisare Maffìa nel suo testo: le numerose constatazioni e restituzioni di valore verso l’opera mastodontica, innovativa e di autentica rottura artistica che fa capo a Marco Onofrio, non sono condizionate da alcuna forma di affetto personale e personalistico. Onestamente, attraversando le opere di Onofrio, da “Senza cuore” a “Diario di un padre innamorato”, da “Disfunzioni” ad “Azzurro esiguo”, da “Emporium” a “Luce del tempo”, ecc., non si nutre alcun dubbio sul fatto che una considerazione di grande, oggettivo spessore vada tributata (come se non bastassero le decine di premi già ricevuti e le diverse traduzioni in lingue estere) a questo autore incredibilmente poliedrico, prolifico e continuamente assetato di novità, di dettagli, di presentimenti, un rabdomante che fruga ogni minima traccia di fermento per succhiare vita e contemporaneamente restituire vita alla vita, in un mondo dove troppo spesso invece si imita, si specula, si chiacchiera, si cincischia. Scrive infatti Dante in più di un passaggio, riferito tanto all’Onofrio scrittore, narratore, saggista, che all’Onofrio poeta di altissimo lirismo: “Marco Onofrio non cincinschia”. E quanto è vero! No, artisti come Onofrio non possono, non riescono e non riuscirebbero – neanche volendolo – a cinchischiare. Sono troppo occupati a rimettersi in gioco ogni giorno, a dimenticarsi di qualsiasi supponenza, a lasciarsi i trofei alle spalle, per non rischiare di diventare copia e pupazzo di sé stessi, come accade invece a troppi mestieranti dopo un tot di applausi. Marco Onofrio riesce a essere sé stesso anche in mezzo a tutti i riconoscimenti inevitabilmente accumulati dopo decine di pubblicazioni, tutte scaturite da un animo grandissimo, un cuore straripante di generosità umana ed artistica.  

Assolutamente, Onofrio non cincischia, ha ragione Maffìa. Io ho avuto l’onore di conoscerlo. Ma non l’ho trovato nei salotti a dissertare, non l’ho trovato a spostare la polvere da un mobile all’altro tanto per far vedere che sa agitare un piumino, negli asfissianti palazzi del potere mediatico-editorial-politico-puttanesco. L’ho incontrato su un sentiero di montagna, spoglio di qualsiasi alloro, con le mani nella terra, a studiare, a ricercare germogli, ad aiutare giovani creativi, a stimolare coscienze, a danzare per la pioggia, a invocare forze sciamaniche.  Affinché domani, su ogni terra devastata dall’umana immondizia e su qualsiasi forma di violenza e di povertà fisica e spirituale, possa trionfare la Luce (le iniziali maiuscole non sono a caso) della Giustizia, dell’Onore, dell’Amore, dell’Amicizia, del Merito e dell’Onestà. Questo fanno i grandi Artisti e i grandi Uomini (anche qui le maiuscole hanno un forte senso). E i due signori coinvolti in “La libertà e il divieto” – per citare un altro grande Artista e Uomo – “modestamente… lo nacquero”.

Valerio Mattei

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